Enzo Rava

Amnesia

Il postino, che stava smistando lettere nelle cassette condominiali, vide l'intera scena, che così riferì poi agli infermieri, allertati dalla sua chiamata dal cellulare ed accorsi con
l'ambulanza: “Quell'uomo stava scendendo le scale, normalmente, ma al primo gradino di quell'ultima rampa ha inciampato nella passatoia, è caduto di colpo in avanti, è capitombolato malamente, dopo paio di giravolte è piombato lì sul pavimento a pancia all'aria, sbattendo la testa in malo modo”, descrizione non proprio di buona prosa letteraria ma dalla bocca di una persona chiaramente molto emozionata non si poteva pretendere altro.
Aggiunse, il postino, tornando a narrare la drammatica scena (“sequenza”, disse) cui aveva
assistito: “Secondo me è morto sul colpo”.

Non proprio. Quando riaprì gli occhi vide una parete nuda e verdolina, girandosi non vide il soffitto se non attraverso un intrico di macchinari e di cavi, voltando la testa a destra vide invece una ragazza in uniforme bianca seduta su una seggiola, che leggiucchiava un settimanale di enigmistica: “Ebbene?” disse, incongruamente.
L'infermiera gli sorrise, mise una mano sulla sua destra posata sopra le coperte, e “'Se l'è fatta, una bella dormita".
“Dove sono?” chiese, con tono vagamente irritato.
“In un ospedale, per sua fortuna. Se l’
fatta una bella dormita”.
“Dormita che?” insistette.
“Beh, diciamo che ha ripreso conoscenza dopo due settimane, poco meno. Ha avuto una bella fortuna”.
“Ma no, dico: perché sono qui? Che cosa è successo?”
“Che è tombolato giù per le scale, sa il Cielo come non s'è rotto niente, neanche la coccia, soltanto un bell'ematoma”.
“Quali scale?”
“Dovrebbe dirmelo lei, io che ne so?
Adesso pazienti, vado a telefonare al professore e torno subito”.
Lui tornò a studiare i marchingegni appesi al soffitto, poi si guardò le mani, la destra poi la sinistra, decisamente perplesso:
’tombolato dalle scale!' che storia. Ma già l'infermiera era rientrata, con una cartella in mano ed un bel sorriso in volto: ”Il professore si congratula, dice che passerà domattina. Vuole che lei si rimetta a dormire tranquillo – sempre che abbia ancora sonno, preciso io: ma prima, abbia pazienza, qualche formalità burocratica, la sua cartella clinica è ancora anonima, non aveva neanche un documento con sé, anzi mi hanno detto che neanche il portafogli, neanche un euro.
Dunque: nome e cognome?”
Lui la guardò perplesso, poi si fece decisamente pensieroso, la fronte corrugata come d'uomo che profondamente rifletta: “Accidenti - sbottò dopo qualche minuto - ma sa che, sui due piedi, non mi viene in mente?”
“Beh – rise la ragazza - con la botta che ha preso. Ora si metta calmo, ci ripensi: se vuole, almeno il nome di battesimo”.
In tutta evidenza ci ripensò ma 'Porco mondo, ma che storia! Proprio non saprei...”
“L'aiuto io. Vediamo: Adriano? Nicola?
Francesco?...”
Scuoteva la testa: ”Non mi dicono niente.
Ma che storia! Proprio non mi viene in mente”.
“Non si preoccupi, ne riparliamo più tardi”.

Ne riparlarono il mattino, prima della prevista visita del professore, che era accompagnato da un'altra ragazza, anche più graziosa anche ma che vestiva non l'uniforme bianca ma quella della polizia (il berretto se l'era tolto entrando, prima di mettersi a sedere).
“Devo prendere le sue generalità, e qualche altra informazione, se è disposto a darmela”.
“Ma lei è della polizia! – protestò lo smemorato, tale almeno temporaneamente – Che c'entra?”
La ragazza lo guardò fisso, per qualche momento, poi accennò ad un sorriso, ma proprio minimo, e soltanto da un lato della bocca che non pareva proprio d'allegria o di simpatia: “Se sono qui, in qualche modo c'entro. D'altra parte se lei ha un qualche motivo per..”
“Per non dirle come mi chiamo? Ma si figuri! Il fatto è che...- nuovamente rughe gli incisero la fronte, insomma tornò a riflettere profondamente, poi desistette, sconfortato - E'
che proprio non me lo ricordo. Mi hanno detto che ho preso una brutta botta alla testa, sarà stata quella”.
L'agente lo scrutò, con evidente
diffidenza: ”E' bene che cerchi di ricordarselo.
Tra poco sarà qui il commissario Adinolfi, l'ho preceduto per queste formalità di routine. E lui non si accontenterà, d'un po' di smemoratezza”.
“Scusi – l'interruppe incongruentemente lo smemorato – oggi che giorno è?”
“Il 20 febbraio, martedì - poi, piuttosto malignamente – Le interessa anche l'anno?”
“No no, grazie. Quindi la botta l'avrei presa...Quindici giorni fa, ha detto l'infermiera
- che nel frattempo era rientrata ma se ne restava alla porta - dunque sarebbe stato dunque il 5, che ho preso la botta”.
“ Il 6, esattamente alle 12,15. Proprio non lo ricorda?”
“Ma dove?” protestò il dimentico, vagamente indignato non era chiaro per che cosa.
La poliziotta sospirò, mise il taccuino sulle ginocchia quasi avesse rinunciato al suo dovere e “Senta, dalla faccia lei pare una persona per bene...professionista?”
“Professionista? - rughe ma poi – Non saprei, proprio non saprei”.
“A giudicare dalle mani non è certo operaio o contadino. A giudicare dagli abiti..”
Lui che si era portato le mani davanti agli occhi, per osservarle (le unghie erano cresciute,
comunque) chiese con uno scatto: ”Che c'entrano i miei abiti?”
“Abbiamo pur dovuto esaminarli, ma non aveva alcun documento, ma proprio niente, anzi neanche un fazzoletto”.
“Che strano - convenne – di solito la gente…Ma la patente? che so, gli spiccioli se uno usa il bus..?.”
“Infatti. Niente, è strano. Lei come lo spiega?”
Allargò le braccia: “Non me lo spiego proprio. Lei che ne dice?”
La ragazza lo scrutò, questa volta più a lungo, chiaramente ancora più insospettita e già vagamente irritata: ”Senta. A me lei dalla faccia lei pare una persona per bene, anzi certamente lo è. Le conviene dunque cercare di fare mente locale, memoria in generale anzi. Mi creda, le conviene proprio”.
“Naturale, lo so bene, almeno chi sono mi interessa saperlo”.
“ Già. Il fatto è che non interessa soltanto a lei”.


Il commissario Adinolfi arrivò ma dovette fare anticamera perché era stato preceduto dal professore, che dopo rapida visita, ovvero dopo avere ripetutamente tirato su con un dito la palpebra superiore del paziente aveva detto “Mi servono ulteriori accertamenti, così sui due piedi dico che può succedere, con una botta così, ma stia tranquillo che magari in un paio di giorni si ricorderà persino di quand'era nella placenta”.
Si sa, i medici devono offrire ottimismo, i commissari di polizia si attengono solitamente a diffidenza. E Adinolfi con un pizzico di brutalità, come avesse fretta di concludere “Dunque, signor, signor X diciamo. Generalità a parte vediamo se qualcosa ricorda. E' nel suo interesse, fra l'altro, che se mi dà informazioni sufficienti e soddisfacenti io la saluto, le do il buongiorno e torno ai fatti miei. Dunque?”
“Dunque che?”
“ Non mi faccia lo smemorato di Collegno, eh?”
“Lo smemo chi?”
“Bruneri e Cannella, tipografo o professore. Ma già, questo ha diritto di non saperlo, 1927. Però, lei: prima di cadere giù per le scale, che questo è indubbio e certo non l'ha fatto apposta, prima, dov'era?”
“Io?”
“E chi se no? Guardi – l'inquirente parve fare uno sforzo di buona volontà, di incoraggiante condiscendenza – guardi, potrei anche non dirglielo, in questo momento, ma voglio farle capire che più tace peggio è: in quel palazzo....”
“Quale palazzo? Scusi, ma non ricordo, non so proprio di che palazzo parli”.
“Via Egadi 24, quello sul pavimento dell'ingresso del quale lei cadde a testa avanti, questo pare accertato. In quel palazzo, terzo piano, cinque o sei giorni dopo il suo incidente, è stato scoperto..”
“Mi dica, mi dica”.
“Interno 7: una giovane donna
strangolata”.
“Oh poveretta. Ma davvero?”
“Le sembra che ci sia da scherzare?”
“Per niente, tutt'altro. E chi è stato?”
“Lo chiedo a lei, lei era lì. C'era lei, non io”.
“Li dove? Ah, in quel palazzo? Ma le ho già detto che...E poi: quale ragazza? Voglio dire:
chi era, poveretta?”
“Longari Rita, anni 24”.
“Mai sentita. Ma scusi, la polizia che dice?”
“La polizia sono io – gli ricordò seccamente l'Adinolfi - E la polizia dice che lei è caduto dalle scale...”
“Ah, ora capisco. Lei pensa che se io sono caduto dalle scale del palazzo in cui quella poveretta è stata strangolata..... Assurdo. Ma scusi, perché l'avrei fatto? Neanche la conoscevo”.
L'altro precisò, ironico: “Lei non può dirmi di non averla conosciuta visto che mi dice di non ricordare niente. Si decida, cerchi bene di
capire: se sostiene di essere senza memoria non può sostenere di non averla neanche conosciuta. O ricorda bene o implicitamente ammette che forse fu lei a strangolarla”.
Schioccò le dita: ” Adesso capisco. Lei ha ragione: se io avessi la memoria in ordine potrei ricordare o di averla uccisa o di non averla uccisa. Se non ricordo, potrebbe darsi sia il secondo caso che il primo”.
“Vedo che ragione acutamente”.
“Mi sforzo – dopo qualche minuto, con la fronte corrugata – Mi sforzo sinceramente: mi creda, non è mica gradevole, sa?, non ricordare se si ha ucciso o no. Nascono dei problemi di coscienza, per inciso”.
“Infatti – lo incoraggiò l' Adinolfi – Se ha una coscienza veda dunque di sforzarsi. E non mi lasci sospettare che magari lo fa apposta”.
“ Io? Ma che dice, le giuro che mi sforzo”.
Poi, come tra sé: ”E' proprio brutto, è come non fossi nemmeno io. Oh, commissario, per favore, veda di aiutarmi lei. Possibile che non ricordi neanche se ho ucciso o meno una signora - una signorina forse?”
“E allora cominciamo dal principio: lei usualmente va in giro senza documenti, come farebbe uno che vuole strangolare una signora e non essere identificato se per disgrazia arrestato?”
“Già. E anche senza soldi, mi hanno detto.
Certo che è strano, non trova?”
“In effetti lo sarebbe molto; a meno che, dicevamo, uno non intenda uccidere qualcuno e fare lo smemorato di Collegno”.
“Ma che cosa fece, a proposito, quello lì?”
“Fu beccato a rubare in un cimitero israelita, si accertò soltanto che aveva la barba.
Per il resto non si capì mai bene se era il professore come sosteneva la moglie o il tipografo come pareva dalle impronte”.
Quasi balzò a sedere sul letto: ”Le impronte, mi prenda le impronte!”
“Già fatto. Ma anche gli incensurati uccidono”.
Colto da improvviso sgomento: “Un momento:
la mamma...”
“Quale mamma?”
“La mia! La mamma: commissario, non ricordo neanche mia mamma. Potrebbe essere viva, in angosciata attesa, potrebbe essere morta poveretta ed io neanche lo so”.
“Ma senta: quale è la prima cosa che ha ricordato, svegliandosi qui?”
“La prima?: l'infermiera. Gentile fra l'altro. Oh, ma non vale!”
“Già, quella l'ha vista qui. Prima, intendo, prima della botta”.
“La botta? Cielo - e questa volta balzò proprio a sedere sul letto – Io non ricordo alcuna botta. Oh cielo, io sto vivendo da... da un'ora, tre?, da quando mi sono svegliato qui... Ma quanti anni ho, commissario?”
“Una trentina, ad occhio e croce”.
“E dove mi sono finiti? Trent'anni – e li ho perduti tutti.! Da quand'ero lattante ad ora...
Oh cielo, neanche la mamma”.
“Per favore - sbuffò l'investigatore – lasci un po' stare la mamma, che se sappiamo chi è lei gliela troviamo. Torniamo a via Egadi, terzo piano, interno17”.
“Ma ci vada lei in via Egadi! - gridò come tutta risposta il dimentico – Che vuole che me ne importi! E' alla mia vita che penso: dov'è finita?
- fissando l'interlocutore con gli occhi sbarrati –Ma lei non capisce? Se almeno l'avessi ammazzata io... ”
“Si? Vada avanti?”
“Ma non capisce? Eppure è un poliziotto. Se confessassi, se potessi confessare d'averla uccisa io, a quanto verrei condannato? Trent'anni, diciamo? Ma si rende conto che trent'anni di vita mi sono stati tolti, senza che qualcuno possa dire se l'ho ammazzata io o meno?”


Il commissario si rese conto, d'improvviso, o meglio fu colto da serio sospetto che davvero quello non fingesse, che quello davvero stesse dando in smanie proprio perché aveva perduto la memoria,’la vita' come diceva. Sospese l'interrogatorio, uscì cercando qualche medico, trovò quello di guardia, un giovane dal sorriso cinico e dagli occhi blu che ghignò ed assicurò:
”Noi, come scienza, sappiamo soltanto che ha perso la sinderesi, la dindirindina, per quel trauma cranico, ma se nel frattempo l'abbia recuperata e stia ora fingendo, che ne so? Ma scusi, lei come inquirente – chiese con evidente sarcasmo - non può ricorrere al siero della verità? O magari alla tortura, come si faceva una volta ma ho l'impressione che, qua e là, anche adesso?”
“Ma mi faccia il piacere! Mi dica lei piuttosto, ci sarà pure una terapia per chi ha perso la memoria o finge”.
“Vede mai in TV il dottor House? – rispose il dottore - Nel 1916 il dottor House, che naturalmente non era quello televisivo ma si chiamava proprio così – rilevò che una donna cui era stata somministrata scopolamina raccontava a ruota libera cose che le sarebbe convenuto tacere.
Fu da qui che nacque il mito del siero della verità. Balle. Scopolamina, pentothal, amital,?
tutta roba da romanzi polizieschi, quanto alla scienza già nel 1950 ha accertato che non servono a niente, se non a confondere un poco le idee a chi debba essere messo a morte. Gliela danno, per misericordia”.
“Si parla tanto di progresso della medicina!”
“Beh, l'ultima chimera del siero è l'ossitocina, che a mio avviso serve solo a rendere più calorosi i rapporti sessuali. A parte il fatto che di amnesie ce ne sono un gran numero di tipi, la retrograda, l'anterograda, la globale, la sensospecifica, la lacunare e le cause possono essere ancor più. Noi possiamo indagare, tomografia CT, risonanza magnetica, angiografia, EEG, SPECT. Ma quello la coppa non se l'è rotta, neanche incrinata, neanche una screpolatura.
Quanto alla terapia!, provi con la fisio, la psico, la occupazionale, bubbole varie. Io dico che un bel giorno si risveglia e tutto gli torna come prima, Ma senta: ha provato coi pizzicotti?”
Ameno, il tipo.


Il commissario tornò il giorno dopo, “Mi ci sono incarognito – aveva confidato alla moglie che lo aveva sentito tutta notte rigirarsi nel
letto - Sono convinto che finge”.
“Ma sei poi sicuro che sia lui, l'assassino?”
“E che se no? Nel condominio tutta gente per bene, e poi perché ammazzare quella? Fosse stata almeno una rapina! D'altra parte non posso provare neanche che si conoscessero, per dire, la sola cosa certa è che lui è tombolato da quelle scale”.
. “Ma poveraccio se non è stato lui. Non
sapere neanche chi sei, ma ti rendi conto?”
“Ora non venirmi fuori anche tu con gli errori della polizia!”

Qualcosa di più disse l’indomani lo smemorato al suo torquemada, prendendolo per il
bavero: ”Ma si rende conto che io non so nemmeno chi sono? Magari sono un deputato, uno spazzino, un generale, mi va bene qualsiasi cosa – ma NIENTE, proprio NIENTE? Lei mi deve aiutare, commissario, mi deve aiutare. Ma si rende conto che forse ho una bambina...”
“Che bambina?”
“Dei figli, intendo”.
“Un momento – gli intimò il commissario facendolo sedere su una poltroncina – Un momento.
Lei non ha detto 'dei figli', ha detto esattamente una bambina. Forse qualcosa è emerso dal suo inconscio”.
“Crede? Una bambina...Ma certo, mi piacerebbe avere una bambina. Anche un bambino, naturalmente, ma ecco, una biondina, con le treccine. Dice che è l'inconscio, o un semplice desiderio? Coraggio, commissario, provi, mi aiuti”.
L'uomo della legge si sentì d'improvviso terapeuta. “Per forza deve ricordare qualcosa”. La prese alla lontana, con un lungo giro: “Che cosa ha mangiato oggi?”
“Petto di pollo e spinaci, poi una mela”.
“Che cosa ha fatto ieri sera?”
“A cena? Un brodino e una mela. Qui danno solo mele”.
“Lei fuma?”
“Una ogni tanto, non ho il vizio. E poi qui in ospedale...”
Il commissario scattò, trionfante: “Lo vede? Lei ricorda che prima della botta fumava , almeno un poco”.
“Ha ragione, bravo! Avanti avanti!”
Il commissario era eccitato: “Quando fa 6 per 8?”
“Quarantotto!”
“Dove l'ha imparato?”
“A scuola, alle elementari”.
“Come si chiamava la sua maestra?”
Perplesso, poi irritato: ”E chi se lo ricorda. Ma scusi, lei se la ricorda la maestra delle elementari?”
“Ha ragione, neanche 'io. Comunque, mi dica una qualsiasi cosa che ricorda delle elementari, dell'infanzia”, e si sentì un po'
psicanalista.
“Il pane-e-burro!”
“Cioè?”
“Non lo so. Mi è venuto di dire così. Può darsi che mia mamma me lo desse come merenda, no?, forse è l'inconscio, altrimenti avrei potuto dire pane e cioccolata, non trova?”
Giocarono a lungo, lo smemorato ricordò la velocità della luce, “Circa trecentomila chilometri al secondo”, la piramide di Cheope e Frankenstein; ma nulla d'una moglie, di un'amante, d'un amico.
“Perché non aveva il portafogli? Né quattrini, né patente, né carta di identità?”
Quello fu colto di sorpresa, come un pugile da un gancio al plesso solare: ”Insiste a dire che l'ho fatto apposta?, che avevo cancellato ogni mia identità in vista del crimine? E che poi mi sono rotolato per le scale a sbattere la testa?”
“Mi scusi”.
Insistettero, di conserva, vero gioco di squadra, il commissario che incoraggiava lo smemorato, lo smemorato che si congratulava col
commissario quando riusciva a scovare qualcosa.
”Dunque, un rumore di torrente, ricorda: ma lei era ad esempio su un ponte?”
“Non ricordo nessun ponte. Però, un momento:
un terremoto, ora ricordo un terremoto”.
“Ma quale terremoto?”
“Beh non saprei, Messina? San Francisco?”
“Quello era un incendio. Comunque lei ricorda Messina, 1906”
“Millenovecentootto - precisò lo smemorato – Durò trentasette secondi, pare niente ma…”.
“Formidabile! Ma ora devo andare, ci vediamo domani. Comunque, facciamo progressi. I dottori sono proprio...”


Nessun progresso. Recuperarono sì Benito Juarez, il Bel Danubio Blu, l'area del triangolo rettangolo, semel in anno sed non bis in idem, ma niente garrota, niente donna, niente portafogli, niente identità. Sicché: “Mi dispiace – concluse il magistrato facendo il punto delle indagini– ma non possiamo trattenerlo. Il solo elemento che lei abbia a disposizione, commissario, è che il sospetto è caduto dalle scale dove una donna era stata assassinata. Ma quanta gente c'era, in quel palazzo?”
“Residenti registrati, ventisette. Ma quello solo estraneo”.
“Ma da quando in qua si può trarre uno in tribunale solo perché è un estraneo? Senta piuttosto, ho un'idea”.
“ Davvero?”
“Io ci credo, all'inconscio. Certe mie esperienze. Dunque, sa che facciamo? Lo rilasciamo, il che d'altra parte vuole la Legge.
Dunque, immagini la scena: quello, libero come un passero, se ne esce dal portone e...E dove va? In quale direzione, verso quale casa? Va a destra o a sinistra? A piedi o in bus? L'istinto, mi creda, il subconscio lo spingerà in una certa direzione”.
“E in fondo a quella, l'ergastolo!” giubilò il poliziotto.


Non fu affatto cosi: lo smemorato si congedò dal suo inquisitore con una certa commozione, “Lei è stato molto gentile, lei ha generosamente tentato di ridarmi una identità, di farmi tornare me. Mi permetta di venirla a trovare, qualche volta, al commissariato...Oh cielo, MA CHI SONO IO? Comunque, grazie di cuore, a buon rendere”.
Erano nel vasto ingresso del nosocomio, si strinsero a lungo la mano, lo smemorato si avviò all'uscita, il commissario fissava le sue scarpe per rilevare in che direzione volgessero subito dopo l'uscio; a destra? a sinistra? in avanti?
Niente di tutto questo: proprio sull'uscio, a metà già aperto, le scarpe si fermarono. Lo smemorato si bloccò, afferrò un battente, lo strinse che le mani gli diventavano bianche, poi si rigirò, con gli occhi sbarrati, (' E i capelli gli diventarono bianchi per l'emozione' avrebbe aggiunto un romanzo popolare dell' 800), volse la testa, fissò l'uomo della Legge che lo guardava
col cuore a centoventi: ”Commissario!
Commissario Adinolfi! Io io io! Di colpo!
Commissario Adinolfi, ora ricordo tutto. L'ho ammazzata io, l'ho ammazzata proprio io. Io io io, capisce?: IO.”

All rights belong to its author. It was published on e-Stories.org by demand of Enzo Rava.
Published on e-Stories.org on 20.12.2009.

 
 

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